La prima recensione del nostro nuovo disco è dell’amico Athos Enrile che ringraziamo con un abbraccio!
MMXX è il nuovo album degli ifsounds, prog band abruzzese di lungo corso (nata nel 1993), che arriva ora al settimo progetto discografico, definito “corale, ambizioso e riflessivo, un contenitore costituito da prog-rock polifonico e contemporaneo”.
Sono entrato in contatto con la musica degli ifsounds nel 2010, quando mi trovai a commentare il loro disco “Apeirophobia”, e nell’occasione intervistai il fondatore del gruppo, Dario Lastella, con cui sono rimasto in contatto, collaborando successivamente per il progetto “Cosa resterà di me” (book uscito nel 2012, compendio di liriche, immagini e musica, frutto di un grande lavoro di squadra). […]
Iniziamo col dire che trattasi di lavoro concettuale, influenzato dai recenti eventi “sanitari” che hanno scioccato il mondo e che si sono trasformati forzatamente in spinta alla riflessione, momenti negativi che hanno lasciato traccia su ogni essere pensante. Da qui ad estendere il pensiero al mondo che ci circonda il passo è breve.
La musica corale a cui fa riferimento Lastella quando commenta il suo nuovo lavoro ha una logica che supera gli aspetti meramente musicale, perché la fusione armonica delle voci – e dei ruoli -, senza che nessuno assuma il rilievo di protagonista principale, riporta alla necessità di vicinanza, di contatto, di relazione, cosa di cui avevamo perso l’abitudine, illudendoci, forse, che la tecnologia potesse sopperire al contatto reale e personale.
Tra le tante prog band esistenti, gli ifsounds emergono per la loro unicità espressiva, e non è certo un caso il credito di cui godono presso la storica etichetta americana Melodic Revolution Records, che ha pubblicato l’album.
Torno un attimo al mio contatto di tredici anni fa, e precisamente al momento in cui approfondivo con Lastella le motivazioni dell’utilizzo della lingua inglese e lui rispondeva: “In futuro non escludiamo testi in italiano.”
Bene, nel nuovo lavoro, la lunga suite “MMXX” – 24 minuti, quindi circa metà dell’intero disco – è in lingua italiana, che potrebbe voler significare la ricerca dell’estrema chiarezza affinché i pensieri colpiscano senza fraintendimenti le “anime locali”, ma è al contempo un complicato esercizio compositivo, vista la difficoltà nell’abbinare musica a parole italiane, o viceversa: insomma, a livello di metrica è un grande sforzo.
La suite iniziale, composta da nove movimenti, va seguita attraverso il piacevole booklet disponibile. Poesia pure immersa in ambiente distopico che si consuma mentre fasci di luce – esigui? – donano speranze, concludendo che “solo il tempo regna eterno sulla vita, trasformando la materia in energia”.
Da ascoltare tutto d’un fiato, un reale legame tra il prog settantiano e la modernità espressiva, con continui cambiamenti di mood e di ritmo, una perla sonora che mi appare di fruizione trasversale, al di fuori della nicchia dei progster.
Con “The Collector” troviamo un po’ di sano rock che si esaurisce dopo un terzo di traccia, trasformandosi in ballad che termina con un cantato quasi aulico…
“Stendhal Syndrome”, brano da passaggio radiofonico – per la dimensione contenuta, per la dinamicità e per il contenuto.
Come risaputo la sindrome in oggetto è una sorta di malessere che nasce dalla contemplazione di un’opera d’arte, dalla visione della bellezza assoluta: ma due occhi all’interno di un viso perfetto – almeno per noi – non possono condurre verso lo stesso stato d’animo? Non è l’essere umano, nei suoi risvolti estetici, la miglior rappresentazione della bellezza?
Luci accecanti, estasi visiva, la mia sindrome di Stendhal!
Con “Kandinskys Sky” i ritmi calano e troviamo una certa solennità adatta al testo…
“Cercherò i tuoi occhi tra milioni di occhi, cercherò il tuo sorriso nascosto tra le stelle, cercherò il suono della tua voce attraverso le più dolci melodie, ma non riuscirò mai a soddisfare il mio bisogno di te…”
Meravigliosa!
A conclusione il lungo strumentale “MMXXII”, un messaggio che, se influenzati da quanto ascoltato in precedenza, regala un senso di speranza, di apertura, di luce piena dopo una notte buia.
Sconfinamento in trame jazz e dimostrazione di certificate skills, il che non fa mai male quando si parla di “qualità musicale”.
Un gran bel disco, che mi fa piacere pubblicizzare, perché se per me gli ifsounds non sono mai una sorpresa, potrebbero al contrario esserlo per chi solo ora si avvicina alla loro musica. Non rimarranno delusi!