Bellissima recensione di MMXX scritta da Lorenzo Morandotti su Music Map. Grazie mille per le bellissime parole!
“Il tempo modula gli eventi”, mai verso fu così pregnante in caso musicale, dove la mescidanza (dalla cavalcata rock all’intermezzo jazz) è una vecchia amica cui puoi sempre tornare, che sai ti potrà coccolare se saprai allargare le braccia di fronte al suo sorriso.
Se dici progressive vengono in mente gli sperimentalismi degli anni gloriosi dei primi Genesis e di gruppi di pari lignaggio (vedi Yes). Ma come tutti i generi si evolve rimanendo in qualche modo sempre fedele a sé stesso, senza tradimenti.
Prendiamo un esempio apparentemente lontano. Era meglio la Diana Ross un po’ ruvida, che diede vita alle mitiche Supremes, o quella patinata e sexy degli anni Settanta che poi, sublimemente, duettò con Barbra Streisand?
Certo, è questione di gusti, e di anagrafe, ma tornando al progressive, cimento più complicato e difficile da gestire senza adeguate basi di preparazione dello schietto soul dell’esempio citato, va detto a gran voce che esso vive e lotta ancora insieme a noi.
Ne sono un esempio, ed esempio di successo glocal (ossia partito dal locale ma con una prospettiva internazionale ormai consolidata anche se ignota alle cronache mainstream) i molisani Ifsounds, band che è arrivata addirittura in America. Il loro album (è il 7° in 17 anni di carriera) è infatti prodotto e distribuito dalla casa discografica Melodic Revolution Records della Florida.
Al di là delle etichette, ecco un cocktail di appena cinque brani ma da centellinare come un buon torbato della sacrosanta isola di Islay dove spero di finire i miei giorni: da Petacciato, in quel del Molise, regione ingiustamente bistrattata, la band va alla conquista del mondo con autorevole baldanza e padronanza di strumenti, generi e capacità di inventare tappeti melodici e armonici originali, e con il suo canto sia in italiano che in inglese alterna momenti di esaltazione e lirismo, tappeti corali e voci soliste che danno voce alla nostra epoca di distanziamenti e disillusioni.
Il titolo non è scelta casuale ma designazione “alla maniera antica” dell’anno orribile 2020, l’anno della pandemia che ha per molti peggiorato situazioni di crisi già partite da lontano, e che per molti ha significato rivoluzioni complesse nella vita di tutti i giorni. Uno slancio e uno sguardo epici – su tutti la lunga suite che dà il titolo all’album – su queste vicende quotidiane, che molti tendono ad avere frettolosamente dimenticato, è quel che ci vuole per non dimenticare i giorni bui e scomposti e sconvolti del lockdown, e guardare al futuro grazie alle sette note come un deserto che prima o poi sarà in grado di fiorire ancora.
E anche la musica in questo senso (se è fatta bene e non affatica all’ascolto come questa, ma anzi come questa coinvolge e non lascia indifferenti) può dare un serio contributo donando momenti di benessere, riflessione, pace e raccoglimento laddove, attorno, è solo caos e rumore e superficialità consumistica. Plauso in particolare in questo gruppo di canzoni – che sono in realtà la fotografia di un musical ideale dove ognuno di noi può contribuire con scenografie e situazioni personali vissute- alle voci e all’ensemble corale, ottimamente orchestrate e calibrate, come già raccomandato in passato non accontentatevi della solite cuffiette da smartphone per ascoltarle perché sono degne di un impianto decisamente hifi per poter essere apprezzate come orecchie e cuore comandano.
Tecnica strumentale ineccepibile, altro plauso, e nel complesso album meritevole di attenzione e degno di nota ancor più se considerato il panorama asfittico e desolante di oggi, album che è segno nelle sue stratificazioni e retrogusti (al palato si va dai Floyd ai Goblin sino ai virtuosismi di matrice classica) di una maturità consapevole, colta ma del tutto non snobistica, conquistata con passione e umiltà e amore per il buon suono, capace di suscitare a ogni passo emozioni in chi sa ascoltarlo senza pregiudizi e senza mai occhieggiare alle mode momentanee. Voto 8.