Bellissima recensione di An Gorta Mór a cura di Donato Ruggiero sulla prestigiosa webzine Hamelin Prog. Grazie!!!
Li avevamo lasciati nel 2015 con “Reset”, un vero e proprio “riavvio” per la band molisana, e nel 2018 li ritroviamo, più agguerriti che mai, con An Gorta Mór.
Con una consolidata formazione a cinque, che vede Runal (voce), Fabio De Libertis (basso), Dario Lastella (chitarre, tastiere, cori), Lino Mesina (batteria) e Claudio Lapenna (piano, tastiere, cori), gli ifsounds sfornano quello che è forse il prodotto più ambizioso e maturo nella storia della band, un concept album che si sviluppa sul tema della fuga dal dolore, sia essa una guerra, una famiglia “sbagliata” o violenta, la disperazione, la fame. Ed è proprio a queste ultime due tematiche che è dedicato il titolo (e la suite finale) dell’album, An Gorta Mór, la “grande carestia” che colpì l’Irlanda nella metà del XIX secolo causandone la morte per denutrizione e l’emigrazione di circa un terzo degli abitanti.
An Gorta Mór è uno scrigno che racchiude un vortice di emozioni, un percorso in cui i suoni costantemente mutevoli del quintetto, che spaziano dall’hard rock al prog passando per momenti folk e romantici, si fondono alla perfezione con i testi scritti da Lastella e Lapenna (quest’ultimo coautore del brano d’apertura), in cui si tocca quasi con mano la disperazione e il dolore dei protagonisti, e interpretati dalla straordinaria voce di Runal, una garanzia. A dar man forte alla band troviamo anche una serie di ospiti: Lino Giugliano (tastiere e organo in Reptilarium, The Great Famine e Doolough Lake), Alessandra Santovito (voce in Regina Oceani), Francesco Forgione (bhodrán in The Docks of Limerick), Vincenzo Cervelli (voce in The Docks of Limerick, cori in Ghosts in America), Matteo Colombo (violino in Emerald Island e The Docks of Limerick e Marco Grossi (cori in Ghosts in America).
E ancora una volta la lettura grafica dell’opera è affidata a Fabienne Di Girolamo. Nella cover di An Gorta Mór c’è tutto il dramma irlandese, la morte che viene dai campi, con quelle mani scheletriche che spuntano dal terreno in sostituzione delle piante di patate, e le strade che conducono ad un’illusoria salvezza, nella propria terra madre o per mare (con quella coffin ship che abbandona le alte scogliere).
Si parte con Mediterranean Floor. Dopo esser stati accolti da quella che sembra una preghiera araba filtrata, prende il via un turbinio ruvido e pungente in cui, soprattutto Runal, Lastella e le ritmiche, omaggiano, o quasi, i Motorhead di “Ace of spades”. Poi il brano si sviluppa tra “vuoti” e “pieni”, con la vocalità camaleontica di Runal protagonista indiscussa in un paesaggio alla Lou Reed, ammantata dai ricami chitarristici di Lastella e i tappeti soffici di Lapenna. E nelle parole scritte da Lastella e Lapenna rivive il dramma di chi è in lotta perenne per la sopravvivenza, di chi cerca di sfuggire alla morte dovuta alla guerra, alla fame, al deserto, ad un viaggio in mare in cerca di un mondo migliore sulle coste di quello che, forse, è davvero un mondo migliore: Tongues of fire licked away my home / Roars of guns smashed down the doors / Run, my little boy, never look back / Run, my brave boy, with your broken leg […] / Our life is a lie, but I finally know the truth / Death, how many people are dying around me now? […].
Vivacissimo ed articolato il substrato sonoro iniziale della breve Techno Guru, con le pelli di Mesina dinamicissime. Tutti sono operosi e partecipi della festa colorata che poi sfuma per condensarsi in un’andatura “zoppicante” e fuori dagli schemi, un po’ alla Henry Cow. Runal, come sempre a suo agio, riporta, infine, tutti sulla giusta via mentre il suo canto ci mostra uno dei lati oscuri della tecnologia contemporanea, quella dei guru digitali che promettono fantastici guadagni su internet per sfuggire a un quotidiano fatto di disoccupazione o di occupazione degradante.
Tempo di ballad con Violet, un niveo viaggio (superficialmente) a due, voce/chitarra classica, un intreccio soffice e carezzevole ben supportato dalla coppia ritmica e dai cori. Come già in “Reset”, con il brano “Laura”, gli ifsounds dimostrano ancora una volta di poter “accantonare” per un attimo le “armi” e affrontare un discorso sonoro che fa della melodia e della tenerezza gli elementi vincenti, nonostante il testo affronti la prigionia famigliare di una ragazza, quel vivere una vita imposta dai genitori e quella voglia di fuggire via ([…] Violet be a good girl! / Runa way from here! / Violet be a good girl! / Run to your windmills / Violet be a good girl! / Don’t get old before you grow / Violet be a good girl! / Start to grow before you get old). E sul finire il tocco acustico e mediterraneo di Lastella pone il giusto sigillo.
Please, please, stop running baby now! / Tears, dry your tears on your gruesome shiner / Weak, baby, baby don’t desert me now! / Fear, don’t be scared, sometimes I lose control […] / Lips, I want to taste your blood on your lips / Freeze! Don’t move baby! Now you’re mine!. È la violenza domestica il tema che rivive in modo diretto e crudo in Reptilarium, nelle parole di Lastella, mentre, sul fronte musicale tornano le asperità sonore con un affascinante tuffo negli anni ‘70, tra distorsioni hard rock, andature tirate, le policrome tastiere e l’hammond dell’ospite Lino Giuliano e quella voce intensa e ruvida di Runal che può tenere la scena anche in solitaria. Nei minuti finali una strana sensazione lisergica ed alienante, ma ricca di struttura, supporta l’unico frammento cantato in italiano: […] Io apro la pelle con i denti affilati / io sento il sapore del sangue, / non posso fermare la forza violenta / che nasce da quel difetto lontano / che striscia feroce sulle nostre coscienze.
In coda gli ifsounds posizionano la lunga suite An Gorta Mór. Il primo movimento è Emerald Island, tenera ballata dalle tinte folk, un limpido flusso fatto di chitarre pizzicate delicatamente, tenui suoni di piano, il romantico violino dell’ospite Matteo Colombo e il dolce canto di Runal, con quella sua tipica ruvidità che dona fascino al tutto, in una sorta di miscela tra Fabrizio De Andrè, Leonard Cohen di “Hallelujah” e Le Orme di “Gioco di bimba”. La poesia è infranta ben presto dalla strumentale e magmatica Phytophthora infestans (una delle maggiori cause della carestia irlandese, il microrganismo che ha colpito le patate distruggendone i raccolti): è il caos che si abbatte sui meravigliosi paesaggi narrati in precedenza (Emerald Island, Glendalough, Cliffs of Moher, Glenveagh Castle ed altri ancora). La tristezza s’impossessa di Bridget O’Donnell. Struggente il cammino unitario di chitarra e voce ([…] I was lying in a cabin, / when I had my child born dead / All my family got the fever, / when my son died, he was thirteen) e il seguente assolo dello stesso Lastella, con i suoni centellinati dei tasti di Lapenna e i successivi inserimenti di De Libertis e Mesina a completare il quadro. Balzo in avanti con l’elettrizzante The Great Famine, una miscela dal gusto a tratti retrò (con sentori di The Doors, Iron Butterfly e Van Der Graaf Generator), con un massiccio utilizzo di chitarre e caratterizzata dagli ottimi interventi tastieristici di Giugliano. […] Your rotten fruits / are poison for your sons, / through your putrid roots / you’re spreading, you’re swelling an gorta mór!: la grande carestia è definitivamente arrivata. Il lavoro grintoso e possente iniziato con il movimento precedente prosegue con Doolough Lake portandosi verso rive hard rock, con la coppia ritmica che corre senza sosta e Lastella, Runal e Giugliano che tengono il passo senza patemi, mentre il vocalist narra di una tragica migrazione interna, da Louisburgh a Doolough Lake, in cui centinaia di persone in cerca di cibo vedono negata ogni possibilità di salvezza trovando la morte (quest’ultima immagine magistralmente e drammaticamente restituita dall’accoppiata piano/voce). D’un tratto si salta direttamente in pieno folklore irlandese, con la briosa The Docks of Limerick. Sembra davvero di essere in una delle tipiche locande della verde Irlanda, tra ubriachi canterini, musica live e danzatori, grazie al caratteristico lavoro “irish” di Francesco Forgione con il suo bhodrán e di Matteo Colombo al violino. Nelle parole del protagonista, un marinaio (in realtà un trafficante di esseri umani, interpretato dall’ospite Vincenzo Cervelli), emerge il lato più maledettamente terreno e materialista dell’uomo: I made some good business, good deals on the dock of Limerick / I am just a sailor, I ship some goods from Limerick / The heaviest is the cargo, the richest is the sailor you see. La merce trasportata è umana: la migrazione oltreoceano può iniziare. Regina Oceani (la regina dei mari che accoglie migliaia di vite umane) è affidata quasi esclusivamente alla calda e avviluppante voce di Alessandra Santovito, alla sua teatralità alla Donella Del Monaco, e ai suoni eterei che l’avvolgono. Quella che segue è la sontuosa cavalcata prog strumentale Long cónra (lunga bara), prima di terminare con Ghosts in America. L’episodio finale è una sorta di chiusura del cerchio, una ballata dalle tinte soft che richiama in parte l’idea di base del movimento d’apertura, interrotta solo dallo sciabordio delle onde e dal sofferente organo che raffigurano tutto il dolore di quelle vite spezzate in mare: That coffin ship moving slowly / to the Gross Isle, the door to Canada / No more sounds on the vessel, / no more voices, no more grief / Ghost are sailing to America / starving prisoners of the sea […]. Si chiude così il tragico viaggio di migliaia di persone che hanno tentato di sfuggire alla disperazione, alla carestia e alla morte nella propria terra natia cercando riparo e conforto sull’altra sponda dell’Atlantico, molto spesso invano.
Bellissima recensione di An Gorta Mór su Musical Mind ad opera di Luca Paoli!
Il progressive rock italiano sta vivendo una nuova giovinezza: le uscite discografiche di questi ultimi tempi sono parecchie e di qualità sopra la media. Si passa dal Folk-Prog, al Metal-Prog e al Symphonic-Prog giungendo a lambire quei territori Jazzmai dimenticati. Non si sottraggono a quanto scritto sopra i molisani Ifsounds con il loro nuovo album An Gorta Mòr (2018) che tradotto significa “La grande carestia”. La band in attività dal lontano 1993 a nome If, ha negli anni raccolto consensi e premi in tutto il mondo a dimostrare la qualità della loro proposta nel panorama del Progressive-Rock, senza cadere mai nell’errore di ricalcare quanto scritto e suonato nei gloriosi anni ‘70. Proponendone una loro versione attuale e fresca con umori che spaziano tra Folk, e Psichedelia ed incursioni nell’Hard Rock che aggiungono la giusta dose di pepe al loro già vario menù, eccoli arrivare al sesto album, nel quale affrontano il dramma storico della grande carestia che colpì l’Irlandadal 1845al 1849. Durante quel difficilissimo periodo morirono migliaia di persone, ed altrettante furono costrette a lasciare l’Isola Verde, e su questo tema oggi molto attuale e drammatico, la band costruisce un disco che richiama i classici concept album del passato. La scelta di aprire l’album con Mediterranean Sea è di per sé molto significativa, e il suo inizio incalzante che poi si fa pacato e quasi intimo racconta una storia musicale molto affascinante. Ottima la prestazione vocale di Runal che sa calarsi perfettamente tra le pieghe del brano, mentre l’assolo di chitarra di Dario Lastella è da applausi. Nella seconda traccia, Techno Gurn, troviamo echi di PFM, stemperati da una manciata di ingredienti psichedelici, mentre il terzo brano dal titolo Violet, è la classica ballata di ampio respiro che ci porta su lidi pop, eseguita comunque con gusto e sentimento: sicuramente pregevole l’assolo di chitarra acustica che impreziosisce il brano. Si torna a suoni più duri con Reptilarium che affonda un piede negli anni ‘70 e l’altro nel sound moderno ed attuale: brano sottolineato da interessanti cambi di ritmo, che evidenziano la qualità tecnica e il sentimento presenti nel suono del gruppo. A concludere l’opera ecco la title track, una suite di ventidue minuti nella quale la musica irlandese, il rock e la musica lirica si fondono ottimamente regalandoci un’esperienza d’ascolto unica e difficilmente eguagliabile. In conclusione siamo al cospetto di un album vario, ottimamente arrangiato e suonato, che non deluderà gli appassionati di quel rock che oggi le grandi grandi case discografiche non propongono più. Il progressive del nuovo millennio è vivo e vegeto e gli Ifsounds sono qui a dimostrarcelo.
1. Mediterranean Floor. 2. Techno Guru. 3. Violet. 4. Reptilarium. 5.
An Gorta Mór (I. Emerald Island II. Phytophthora infestans – III. Bridget O’Donnell
IV. The Great Famine V. Doolough Lake VI. The Docks of Limerick
VII. Regina Oceani VIII. Long cónra IX. Ghosts in America).LINE UP:
Runal: voce – Fabio De Libertis: Basso – Dario Lastella: chitarre, tastiere, sintetizzatore e voce – Lino Mesina: batteria e percussioni – Claudio Lapenna: pianoforte, tastiere e voceProdotto da Dario Lastella Etichetta:Melodic Revolution Records
La musica è sicuramente passione, una passione che accomuna molte persone.
Ma la musica è anche un lavoro che richiede tempo e sacrificio. Spesso ci chiediamo perché ci impegniamo tanto. Quando poi si ha la pretesa di scrivere la propria musica, di mettere in note e versi il proprio pensiero e le proprie emozioni tutto diventa ancora più difficile.
Molti finiscono per vivere la propria passione solo a casa, in privato o tra pochi amici.
Alcuni riescono a suonare in giro, a volte con un pubblico coinvolto, altre volte facendo solo da sottofondo a gioiose bevute.
Noi ifsounds siamo molto fortunati: tanta gente in tutto il mondo ci ha dedicato il suo tempo, ha scritto recensioni parlando della nostra musica spendendo parole spesso molto belle, ci ha trasmesso in programmi radiofononici, facendoci apprezzare da un pubblico più vasto e onorandoci di spazi inimmaginabili insieme a grandissimi artisti internazionali.
Tutto questo basterebbe a rispondere alla domanda “perché continuate a suonare, a continuare ad andare in direzione così ostinata e contraria?” e tutti noi siamo profondamente grati agli amici che ascoltano, promuovono e anche criticano la nostra musica: il tempo è prezioso e dobbiamo essere profondamente riconoscenti a chiunque ci dedica il proprio tempo e la propria attenzione.
Poi arriva una recensione come quella di Gabriele Peritore aka Capitan Delirio su Magazzini Inesistenti e per chi scrive tutto assume un senso ancora più compiuto: il messaggio nella bottiglia è arrivato a un altro essere umano. La missione adesso è davvero compiuta!
Didier Gonzalez dedicated us one page on Highlands Magazine!!! Very good review
La recensione di Marcello Zinno su Rock Garage!!!
Avevamo già parlato del prezioso progressive rock degli Ifsounds in occasione del precedente album dal titolo Reset (a questa pagina la recensione) e già con quel lavoro la vena artistica e progressiva della band era affiorata in maniera evidente. Quest’anno la band sforna un nuovo album dal titolo An Gorta Mór che significa “la grande carestia”, lavoro che mette in musica le innumerevoli perdite umane a seguito di movimenti migratori, fuge da situazioni terribili, nel passato come nel presente. Anche in questo lavoro va detto che la perizia tecnica è assolutamente messa da parte, seppur ottimamente suonato l’ispirazione e la profondità artistica sono collocate al centro di tutto, basti ascoltare la bowiana Violet (luce sull’assolo di chitarra davvero prezioso) per restare incantati. Si spinge un po’ sull’acceleratore con l’opener che sembra quasi fare il tifo per un prog metal influenzato da strutture hard rock e che rappresenta quel sale aggiunto all’intero album, scelta che viene ripresa in Reptilarium, un brano in stile Deep Purple che lascia toccare con mano i confini a cui può spingersi la proposta degli Ifsounds.
La title track copre la durata di metà album, brano che è strettamente legato alle tematiche dell’opera, già dai primi minuti con quel suo folk irlandese (anche se tratta di Emerald Island che si trova vicino all’Australia) e che più di tutti rappresenza l’escursione sonora degli Ifsounds. Dal folk alla psichedelia, dal prog rock settantiano all’hard rock della stessa epoca, dalla musica irlandese alla lirica in una suite completa e coinvolgente. Un album consigliatissimo a chi ha amato lo spirito acustico della PFM ma che ha anche consumato i primi album targati Marillion.
Il podcast della puntata di giovedì 18-10-2018 di RockPolis su Radio Godot con il grande Max che intervista Dario (a partire da 1:10:00 circa).
Dopo la recensione, Gabriele Marangoni di metal.it ci ha dedicato questo spazio con una bella intervista. Grazie Gabriele!
È sempre bello lasciare un po’ di spazio anche a realtà meno note e orgogliosamente italiane. Eccovi allora il resoconto della bella chiacchierata fatta con Dario Lastella che ci ha parlato in modo dettagliato della sua visione musicale e dell’ultimo album “An Gorta Mór”.
Ciao Dario e benvenuto sulle nostre pagine digitali. Ti va di cominciare da una breve panoramica sulla storia degli ifsounds? So che siete in giro da parecchio…Da parecchio, ma da poco… in realtà abbiamo cominciato da quando andavamo a scuola, ma all’epoca eravamo appunto ragazzini e ci siamo un po’ persi. Poi, una decina di anni fa, abbiamo cominciato a fare un po’ più sul serio e abbiamo cominciato a produrre dischi da proporre al pubblico. Fino al 2012 siamo stati una “studio band”, poi, circa dal 2014, c’è stato un massiccio cambio di formazione e abbiamo cominciato a ragionare da band vera e propria.
Come descriveresti la vostra proposta? Si può parlare di art-rock?In effetti “art rock” è la definizione che ci piace di più. Cerchiamo di creare un discorso musicale e letterario “artistico” e con un messaggio. Quindi art rock è una bella etichetta.
Cosa vi ha portato a scrivere un concept sull’olocausto irlandese del XIX secolo?Un paio di anni fa sono stato in vacanza in Irlanda e ne sono rimasto affascinato. Lì ho conosciuto la storia, anzi le storie di “An Gorta Mór” e ne sono rimasto fortemente colpito, anche per le similitudini con vicende attuali: la storia si ripete e l’uomo non è quasi mai in grado di imparare dai suoi errori. Quindi ho voluto omaggiare quella bellissima terra, le sue suggestioni, i suoi panorami, la sua gente e la sua storia tragica con la suite omonima, nella speranza che possa far riflettere gli ascoltatori di oggi su quella tragedia apparentemente lontana, ma in realtà attualissima.
È difficile non “perdersi” tra le tante influenze che caratterizzano il vostro sound: come nasce un vostro brano? Quali sono i vostri principali punti di riferimento artisticamente parlando?Bella domanda. Sostanzialmente facciamo musica che ci piace suonare mettendo dentro quello che ci piace ascoltare. Del resto abbiamo background musicali molto diversi e questo crea una commistione di stili interessante, almeno spero. Direi che comunque ci piace sicuramente il prog classico e il classic rock (Pink Floyd, Genesis, PFM, Banco), ma anche il blues (soprattutto il nostro vocalist Runal!), il jazz, la musica classica… Un nostro brano nasce di solito da un’idea concettuale di base (sia a livello di testo e di “atmosfera”, sia armonico e melodico). Poi questa idea viene sviluppata dalla band con arrangiamenti che non raramente si allontanano molto dall’idea di base, proprio perché poi ognuno di noi ci mette del suo.
So che in passato avete anche utilizzato la lingua italiana per le vostre liriche – e ce n’è qualche frammento anche in “An Gorta Mòr”: come mai oggi utilizzate prevalentemente la lingua inglese?In realtà abbiamo sempre usato l’inglese tranne che nel nostro penultimo album uscito in doppia versione. Credo che per il nostro tipo di musica la lingua inglese suoni meglio. Inoltre gran parte dei nostri ascoltatori è all’estero, quindi l’inglese è quasi inevitabile per comunicare con loro, considerando che i nostri testi cercano di avere un messaggio e li riteniamo importanti almeno quanto la musica.
Nella recensione ho evidenziato come – alle mie orecchie – venga richiesto “molto” all’ascoltatore che decide di approcciarsi alla vostra musica: cosa pensate di questa osservazione?Dipende dai punti di vista. Se un ascoltatore si avvicinasse al nostro album in maniera casuale, magari mettendolo di sottofondo come un album di rock AOR mentre sta facendo altro, potrebbe trovarlo un po’ ostico. Ma se lo ascoltasse con un po’ più di attenzione, come album prog, si renderebbe conto che è molto più lineare di quanto possa sembrare. Mi spiego meglio: prendi ad esempio la suite “An Gorta Mór”. È una mini-opera rock che racconta l’olocausto irlandese, partendo da una scena bucolica iniziale, passando per il dramma della fame, della morte, dell’emigrazione forzata, del viaggio disperato in oceano… È come se fosse un film di una ventina di minuti con varie scene, personaggi, atmosfere e noi abbiamo cercato di creare con i suoni queste immagini. Probabilmente è vero che noi chiediamo “molto” all’ascoltatore e “An Gorta Mór” non è certo easy listening. Ma alla fine, se a qualcuno piacesse la nostra proposta e si concedesse qualche minuto per “visualizzarla” (lo so, è una grande pretesa nel 2018!!!), successivamente ne potrebbe godere anche in maniera più disimpegnata. In piccolo credo che sia assimilabile a quello che succede per album come “The Wall” o “Tommy” (non che ci voglia paragonare agli dei del rock!!!): se un ascoltatore li vuole capire ci si deve soffermare. Poi però, una volta capiti e amati, se li può pure canticchiare in macchina andando al lavoro… almeno a me capita questo! [ride, ndr]
Una musica tanto elaborata penso che sia anche difficile da riproporre dal vivo: come vi comportate in questo senso?È difficile, ma non impossibile. Ci stiamo lavorando su e speriamo di proporre un bel live l’anno prossimo. E comunque ci divertiamo molto a suonare questi brani, anche se richiedono molta attenzione. In fondo è sempre e comunque rock’n’roll!
La domanda trabocchetto: i 3 dischi degli ultimi 5 anni che consiglieresti a ogni appassionato di buona musica…Domanda difficile. Me la cavo in maniera corporativa e dando spazio ad alcuni amici (non me ne vogliano i mostri sacri tipo Waters o McCartney… a loro non servo di certo io!). 1) Marco Ragni – “The Wandering Caravan”. 2) Colin Tench Project – “Minor Masterpiece” (R.I.P. Colin, grande artista!). 3) Aisles – “Hawaii”.
Grazie Dario per il tuo tempo, a te lo spazio per i saluti finali…Grazie a te per lo spazio che ci hai concesso su Metal.it, per la recensione e per il lavoro fatto per promuovere il rock in questi tempi difficili per la musica e non solo!
Bella recensione di Marco Calloni su BlogFoolk.
Questa settimana ci siamo concessi una piccola incursione nel prog e zone limitrofe dedicando la sezione “Contemporanea” del nuovo numero ad “An Gorta Mór”, il recente progetto dei molisani Ifsounds. Nata nel lontano 1993 dall’incontro di: Franco Bussoli, Pietro Chimisso, Claudio Lapenna e Dario Lastella, la formazione è ora giunta al sesto album ufficiale pubblicato dall’etichetta americana Melodic Revolution Records. Se il precedente “Reset” (2015), era stato un disco di “ripartenza” dalle sonorità particolarmente grintose , qui si ritorna alla più familiare combinazione tra prog e rock contemporaneo. Come già accaduto in passato, “An Gorta Mór” ribadisce una certa propensione degli Ifsounds al “pensar concettuale”. A tal proposito citiamo l’album del 2012 “Red Apple” tematicamente legato a “Mela Rossa”, il romanzo del chitarrista, tastierista (e scrittore) della band Dario Lastella e anche il già citato “Reset”, una curiosa investigazione autobiografica. In passato, i primissimi album del gruppo erano basati su concept più “velati”, questa volta, il tema guida del nuovo lavoro risulta forse più concreto e focalizzato. Si parla di “fuga dal dolore”, intesa come tentativo di scavare nella sofferenza per ritrovare l’essenza dell’uomo. “An Gorta Mór” significa “la grande carestia” ed è un riferimento all’olocausto irlandese di metà XIX secolo che portò l’isola a perdere circa un terzo dei suoi abitanti tra morti per denutrizione ed emigrati in fuga dalla fame, che scelsero di affrontare viaggi della speranza in condizioni terrificanti per garantirsi un futuro, e non un futuro migliore, intendo dire proprio un futuro. È evidente che 170 anni dopo le cose non sono cambiate molto, ma si sono solo spostate geograficamente”. Queste parole tratte da un’intervista per Synpress 44, presentano molto bene i temi dell’album che in cinque brani per quaranta minuti di musica, coniuga con piglio particolarmente energico prog classico e rock guidati da chitarre e tastiere, con intermezzi acustici e persino qualche spunto celtico. Tracce come l’acustica “Violet” e soprattutto l’elaborata suite omonima conclusiva (con inaspettato “inserto” corale sul finale) ne sono la dimostrazione. “An Gorta Mór “, segna senz’altro un ulteriore e importante passo per gli Ifsounds ed è stato realizzato con la partecipazione di diversi ospiti: il tastierista Lino Giugliano, Vincenzo Cervelli (Acid Tales, Eva’s Bullet), gli Hexperos (Alessandra Santovito e Francesco Forgione) , Marco Grossi e con la collaborazione dell’artista Fabienne Di Girolamo che ha realizzato personalmente la sua seconda copertina per il gruppo. Se amate seguire gli attuali sviluppi della musica italiana a cavallo tra rock contemporaneo e prog, tra passato e presente, non vi rimane che lasciarvi trasportare dalla musica degli Ifsounds.
Prestigiosa recensione a cura di Antonio Bacciocchi su Radio Coop. Grazie ad Antonio e a Synpress44!
Sesto album per la band molisana, un concept “politico” che parte dalla tragedia vissuta dall’Irlanda nella metà del XIX Secolo che la portò a perdere circa un terzo dei suoi abitanti tra morti per denutrizione ed emigrati in fuga dalla fame, per arrivare, di riflesso, a temi attuali come quello dei migranti. Il tessuto sonoro si mantiene nell’alveo del prog ma in senso più ampio, attingendo anche dal folk e dal rock più tradizionale (a tratti si avvertono riferimenti al Bowie dei primi 70 o ai Pink Floyd). Un disco di ampie vedute artistiche e sonore, ottimo.
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